
Richard was wearing a black T-shirt and reading a paperback novel with a big V on the cover.

Richard was wearing a black T-shirt and reading a paperback novel with a big V on the cover.
Una cosa che mi pare non sia stata ancora abbastanza discussa nel dibattito sul passaggio dai libri di carta ai libri digitali è il rapporto con l’acquisto del libro. Il libro di carta contiene tradizionalmente in sé due identità fortissime e due ragioni d’acquisto: una legata al suo contenuto e alla lettura, e una all’oggetto. È arcinoto che il possesso dell’oggetto libro è fortemente associato al suo acquisto, e a volte addirittura ne è la ragione prioritaria. Molti di noi hanno detto qualche volta “non me lo prestare, voglio averlo” o viceversa si sono rifiutati di prestare libri già straletti pur di non privarsene. La quasi totalità della carta che occupa ampi volumi nelle nostre librerie è lì unicamente per ragioni sentimentali o di arredamento.
Arriva il libro digitale, e la scomparsa dell’”oggetto libro” col suo fascino e il suo ruolo. E il consueto paragone con la trasformazione che ha riguardato il mercato della musica incontra infine grossi limiti: perché le canzoni, anche disassociate dal feticcio disco, mantengono un loro uso frequente e ripetuto, che resta sempre prevalente. Possedere gli mp3 non significa soltanto possederli, ma significa usarli e goderne con continuità: e infatti si sono sperimentati sistemi di disponibilità d’uso senza possesso. (...)
Si annunciano tempi incasinati e appassionanti. La musica non è morta, nel frattempo.
"Beginning with this issue, that generalized instantaneousness has come: The New Yorker will be available on the Apple iPad, on Mondays, wherever you happen to be. Print remains, by miles, our most popular form; unlike a Sunday newspaper, say, the print magazine is still a beautiful, portable, storable, slide-it-into-your-bag-able technology. (...)We’re at once delighted and a little bewildered about this latest digital development and our place in it: delighted because of the quality of what the tablet provides and the speed with which the magazine can be distributed, but bewildered, too, because we’d be liars if we said we knew precisely where technology will lead. These are early days. Right now, editing for the iPad feels similar to making television shows just after the Second World War, when less than one per cent of American households owned a television. (...)The one thing we are sure of is the purpose of the magazine. The New Yorker will always be foremost about free expression, about the written word, about reading. Technology, the means of delivering this writing, is a very important, but secondary, matter, and we intend to keep providing the magazine in whatever form seems to work. Editors here are always willing to make improvements in the cause of writing."