venerdì 23 settembre 2011

Amy was in trouble


Difficile che qualcuno sia rimasto indifferente alla morte di Amy Winehouse, avvenuta per overdose lo scorso luglio. Piuttosto si hanno avuto opinioni forti ma contrastanti: quelli che ‘se-l’è-andata-a-cercare” e quelli che rimpiangevano una ragazza di 28 anni che col suo talento e la sua stravaganza ha segnato in modo incisivo il mondo della musica degli ultimi decenni. E l’ha fatto con un solo disco praticamente, Back to Black del 2007, un album che, mixando sonorità soul, jazz e R’n’b con la sua voce scura e pastosa, le ha valso vari premi (fra cui un Brit Award, tre Ivor Novello e ben cinque Grammy) e è divenuto il disco più venduto nel ventunesimo secolo dopo il suo decesso. Non solo: lo strabiliante successo di Winehouse ha anche dato nuovo impulso alla musica UK, spianando la strada a vocalità come quelle di Adele, Duffy e, perché no, anche Lady Gaga.

Ma Winehouse non aveva solo una voce e una potenza musicale rare, sapeva anche imporsi per la sua personalità indomabile e votata agli eccessi: “When you smoke all my weed, man / You gotta call the green man / So i can get mine (Se fumi la mia erba, uomo / devi chiamare l’uomo verde / così posso prendere la mia)” canta in Addicted. Espulsa dagli Usa per abuso di droghe, cacciata da vari locali per litigiosità, fischiata dai suoi fan ai concerti in cui si presentava barcollante e incapace di cantare: ma Amy continuava imperterrita, fiera dalla sua identità e fregandosene dei giudizi altrui. E’ chiaro nella sua canzone più famosa, Rehab: “They tried to make me go to rehab but I said No, no, no (Han tentato di farmi riabilitare ma ho detto no, no, no)”. Non che questo suo rifiuto di ritorno alla normalità significasse una sua mancanza di consapevolezza: la lettura dei suoi testi più belli rivelano una personalità oscura, travagliata e al contempo estremamente poetica: “he tries to pacify her / ‘cause what’s inside her never dies (lui tenta di calmarla / ‘ché ciò che ha dentro non muore mai)” rivela in He Can Only Hold Her; “I told you, I was in trouble / you know that I’m no good (Te l’ho detto, sono in un casino / lo sai che non so niente di buono)” recita in un’altra canzone.

Le sue canzoni non rivelano una personalità autodistruttiva, piuttosto dicono di un’anima ferita (non si sa bene da cosa, forse dalla vita) che cerca di sanarsi attraverso la musica e, purtroppo, attraverso la perdizione dell’alcool e delle droghe. Ma probabilmente quello, per Amy, era un tentativo di salvezza, non di morte. “Love is a losing game” è il titolo di un’altra sua canzone, l’amore è un gioco a perdere, e forse anche la vita. Qualcosa lei doveva avvertirlo, comunque, se nel video del singolo Back to black inscenava il funerale del suo stesso cuore.

Dai testi emerge una Amy Winehouse complessa, scura, affranta e, soprattutto, sola: sempre in Rehab, “I don’t ever wanna drink again / I just, ooh, I just need a friend (Non berrò mai più / oh, mi serviva solo un amico)”. Quell’amico forse Amy l’aveva cercato nell’arte, ma si sa, l’arte può dare l’illusione della gloria, ma non ha mai salvato nessuno. Le droghe men che meno. E, in fondo, Amy sapeva già tutto: “I cheated myself / Like I knew I would (mi sono tradita / come sapevo avrei fatto)”.


1 commento:

Angelica Lazzaro ha detto...

sarebbe stato un bel pezzo per CABARET VOLTAIRE :) è stato comunque interessante leggerlo qui.
Credo che l'arte possa salvarti(sono un pratico esempio) ma alcol e droghe, ecco, quelle meno :)