Dopo Changelin, Gran Torino e Invictus, capolavori di destrezza dalle trame avvincenti e pensose (l'ultimo già un po' meno, in effetti), il mio sesto senso di ragno era piuttosto diffidente al nuovo film di Clin Eastwood, così, a prescindere. Ma giuro che Hereafter volevo proprio farmelo piacere, anche perché chi me ne aveva parlato bene aveva usato parole delicate e sapienti. Eppure...
Passati i primi dieci minuti sul disastro dello tsunami che sembravnoa un film Pixar venuto male (cioè il pathos era notevole, ma con effetti speciali ingombranti e troppo riconoscibili in se stessi per dare un senso effettivo di verità), il film si sviluppa accompagnando fiaccamente tre storie parallele, tutte e tre legate al mondo dei morti e dell'aldilà, e che inevitabilmente (ah, i cliché hollywoodiani) si devono incrociare verso la fine: una giornalista francese sopravvissuta allo tsunami appunto, un ex medium (Matt Damon) che ha rinunciato al suo dono (quello cioè di mettersi in contatto con i morti al solo contatto fisico con una persona che avevano conosciuto in vita, cosa che lo fa sembrare tanto Rogue degli X men) per recuperare una propria normalità, un ragazzino inglese figlio di madre tossica e che ha perso il gemello e lo "cerca" disperatamente. Il tutto si svolge in modo piuttosto piatto, con intermezzi che non danno tono in più alle vicende ma son lasciati lì penzolanti (il video del terrorista islamico, la ragazza che pianta Damon al corso di cucina dopo aver provato il suo dono - ehm, il poter parlare coi morti, le parentesi della giornalista nella casa editrice, ...) e con dialoghi a volte persino ridicoli da quanto sono prevedibili.
Nei personaggi, poi, non si scava più di tanto, vengono trascinati lentamente da una scena all'altra senza però che ci venga detto molto di loro. La loro unica caratterizzazione è quella di cercare un contatto con l'aldilà. E il film potrebbe anche ridursi a questo.
E' vero che c'è un specie di gentilezza nel raccontare la storia, una delicatezza quasi pudica nell'affrontare il grande spauracchio della morte (soprattutto nella vicenda del ragazzino), però in qualche punto si scivola nello strappalacrime e alla fine tutto si riduce a un già visto.
La conclusione lascia poi un po' interdetti, un happy ending neanche tanto marcato, quasi si dovesse finire in qualche modo, che poi uno si chiede cosa veramente volessero farci capire con questo film: che dobbiamo credere nell'aldilà? che fra migliaia di ciarlatani ci può essere effettivamente qualcuno che parla veramente coi defunti? che possiamo scoprire la verità sulle cose cercandole su Google? che la non-morte è un'esperienza plausibile e dovremmo tutti credere in qualcosa che va oltre la nostra percezione, seppur non sfociando nella religione?
Boh, se era una di queste io non l'ho capita. Come non ho capito il film, del resto, pur dispiacendomene un sacco.
p.s. Segnalo recensione fenomenale (e molto più cattiva) su Nazione Indiana.
4 commenti:
pensa che io ho avuto la sensazione che il film nemmeno parlasse dell'aldilà e di tutte quelle cose di cui dici alla fine.
ma di cosa parla allora? (però davvero: che non mi sia piaciuto mi dispiace un sacco dopo quello che m'avevi detto. dare ragione al testone poi...)
tre forme di solitudine. e in qualche modo tre forme di riscatto. proprio lì, sul baratro del niente.
è una lettura che ci può stare sì, il problema secondo me è che queste solitudini e questi riscatti sono raccontanti in modo stentato e traballante (quella del ragazzino meno, ad es.). alla fine avrebbero potuto essere tre film differenti, con più respiro e con più profondità. poi le necessità hollywoodiane vogliono che i personaggi s'incontrino necessariamente (e in modo frettoloso e un po' forzato). e si incontrano come, poi? ricollegandosi in vari modi al fatto del dialogo con l'aldilà ecc., e qui torniamo al punto che dicevo io, credo.
Posta un commento